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Cartoon: LE VACANZE DELLA MENTE (medium) by Enzo Maneglia Man tagged racconti,storie,ricordi,franco,ruinetti,enzo,maneglia,man,fighillearte,piccolomuseo

LE VACANZE DELLA MENTE

#307137 / aantal keren
Enzo Maneglia Man van Enzo Maneglia Man
op January 12, 2018
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LE VACANZE DELLA MENTE e i rientri di un ottuagenario.
By Franco Ruinetti
Illustrazioni di Man
DA FighilleArte
http://fighillearte.blogspot.it/2018/01/le-vacanze-della-mente-by-franco.html

LE VACANZE DELLA MENTE E I RIENTRI DI UN OTTUAGENARIO
by Franco Ruinetti

I ricordi si accendono come lucciole nel campo della fanciullezza. Ogni fiammella ruba all'improvviso l'attenzione. Per quel tanto che resta, la invade tutta. E' padrona.


Spesso torno fanciullo, indosso i pantaloni alla zuava marroni cuciti dalla mamma su una gonnella di fustagno smessa. Vado tutte le sere con Tino, che è contadino falegname muratore grosso forte e ride come un trattore, alla vasca con le vacche e lui frulla fra le labbra un fischio, così loro bevono più volentieri. L'acqua cala a vista d'occhio. Dice che il fischio è una lingua, quando è sibilato aiuta a fare la pipì.

Vorrei essere tutta la vita fanciullo, tornare insieme alla nonna che firma con la croce e ha la laurea nella bontà. E' più santa dei santi degli altari perché non ha l'aureola.

Il gatto nero qualche notte va fuori casa e fa urli “disumani” per spaventare il lupo mannaro. Il mio babbo invece dice che suona il violino alle gatte.

Una ventata fredda, alla svolta della strada, m'ha fatto traballare.

Continuo a scappare dal presente. Ho fatto un camion con la scatola dalle scarpe, il coperchio è diventato rimorchio. Trasporta gomitoli di lana bianca nera gialla e le patate, ma poche sennò si spezza il filo del traino.

La mattina della domenica, più o meno una sì e una no, è festa col pane burro e marmellata.

Quando ho la febbre e rimango a letto conto i travetti del soffitto e ce n'è sempre uno di meno o uno di più. I conti non tornano.

Allora la mamma mi porta una tazza di latte della capra che è tutta un'altra cosa.

E quando, per via della guerra, si dorme nel rifugio alla macchia io conto le stelle, ma mi devo arrendere perché sono più numerose dei numeri.

“Mamma sento bruciare”, ha urlato mia sorella Giuliana, svegliando tutti. Una scheggia di granata s'era conficcata rasente al suo fianco.

Checco, il fratello di Tino, ci ha il clarinetto che una volta chiama “lo strumento”, un'altra “il piffero”. E' bravo, ha suonato anche al matrimonio. Una sera ha radunato noi ragazzi dietro al pagliaio, vicino alla cuccia della Lola, poi ha drizzato il dito sulla bocca e ha fatto “Ssst”. Dopo aver detto “Ouverture” ha cominciato il concerto. Ma il suo vecchio babbo, che fuma la pipa seduto sulle scale, gli ha berciato di smetterla sennò le galline non fanno più le uova.

Il mio amico Vittorio, più grande di me, mi ha confidato sottovoce d'aver sentito che, se al comando c'era la Delia, la figlia del Trippone, non sarebbe avvenuta la guerra perché lei fa la pace con tutti.

La Gismunda, pallida allampanata, quando suonano le campane per i vespri, sente le voci. Non dice quello che dicono. Invece di andare a cenare, se ne va da sola in fondo al campo dietro la siepe e stringe in mano la corona. Prega per suo figlio che hanno mandato in Russia. E' di poche parole, che le ho sentito ripetere: “Armiamoci e partite”. “Li hanno mandati a morire e loro ingrassano”. Una donna, non conosco il nome, la chiamano “Signora”, ha giudicato quelle frasi vere come è vero un vangelo ridotto all'osso. Una volta la Gismunda, che ha la chioma di stoppa, m'ha dato un bacio screpolato sulla fronte e, sillabando “Dio ti benedica”, m'ha passato una mano leggera sulla testa. Quella carezza non è andata persa, neanche quando ho perso i capelli.

Il sor Gigi, importante ragioniere del Comune, sempre col cappello e la cravatta, mentre faceva i suoi bisogni in un separé della concimaia, che è uno dei gabinetti satelliti della stalla, è stato beccato nel sedere dal gallo. Gli ha fatto uscire il sangue perché lui ha la pelle come quella di un bambino. Quando racconta il fatto, scrollando la testa, conclude: “Non esiste più il rispetto”.

Il mio babbo, ogni tanto, ha qualche caramella di menta in tasca che, mi sembra, non lo fanno fumare meno, ma di più. A me non me ne dà perché mi ricordano quella volta dell'ammoniaca. Sono forti, mi farebbero restare a bocca aperta. Ne ha data una a Pietrino. L'ha scartata, messa in bocca e subito sputata.

“Perché?” gli ha chiesto il mio babbo.

“E' ancora acerba!” ha risposto.

Spesso, così rompendo il tempo, mi ritrovo in quella chiesetta, poco più di una cappella, dove l'oscurità tremola alle fiamme delle due candele. Nella piccola bara c'è la Rosina, che non ha ancora sette anni. L'ha colpita in mezzo al petto la scheggia, una briciola della guerra. Camminava, correva, sempre scalza, dietro alla chioccia e alla scolaresca dei pulcini, anche dove ci sono le stoppie. Ora ha il vestitino della domenica e le scarpe quasi nuove, ma non le servono più perché il prete ha detto che è un angelo e sulle nuvole non ci sono i sassi aguzzi, né gli spini. Ad un certo punto io non resisto. Scappo al torrente per nascondermi. Mi metto a sedere su uno scoglio, scaglio un sasso nell'acqua, con rabbia. Poi penso e dico a denti stretti: ”Il mondo è cattivo”. Alzando la testa il sole gioca con i lucciconi. “Il mondo è cattivo, ma è bello”.


Corollario


I vecchi tornano fanciulli. Verissimo. E' una fortuna. Allora scendo, senza farne richiesta, né pagare alcuna gabella, dal carrozzone del tempo corrente e questo, soprattutto quando la memoria è garbata, rappresenta un privilegio. La terra volge al contrario, assisto ad un film di svariati spezzoni indipendenti, liberi, imprevedibili. Ripercorro i fatti stando in poltrona o a letto. Mi muovo da fermo, vedo chi non c'è, ad occhi chiusi, ascolto le parole del silenzio. Verso il crepuscolo della mia giornata suona la brezza della nostalgia, mentre rimbalzano gli echi del primo mattino. E scappo, sempre senza volerlo, mi allontano a volo radente, approdo altrove in tempo reale, come oggi si dice, Riconosco in lontananza, purché nella caligine, mio nonno, con i baffi alla Cecco Beppe, battezzato Solferino, nome strano per una persona. Evoca un grande evento e quell'amor di patria, che non c'è più e ormai suona stonato. Roba vecchia, fuori moda.

La “vacanze” nel passato sono vita tra parentesi. Simili a sogni. Il risveglio immediato è come scendere da una pagina a colori e ritrovarsi in un'altra in bianco e nero. Rompe l'incanto la voce di mia moglie, che mi chiama per andare a fare la spesa, del postino che porta le fatture, del telefono che insiste perché cambi gestore.

Negli anni stramaturi la piazza si sfolla perché gli amici di sempre cambiano residenza. Riempio la solitudine col computer, poco sennò mi ubriacherebbe, con i giornali e i telegiornali carichi di notizie tristi. Seguo la politica e i politici che dovrebbero sempre avere davanti e ringraziare i martiri morti per unire l'Italia. Quando giornalisti e scienziati parlano di certi disastri e minacce penso che l'intelligenza tenta di distruggere tutto.

Allora automaticamente scappo nella fanciullezza e riscopro la vita, ogni giorno è un'avventura nel mondo. Ripasso anche i fatti amari. Però la luce è sempre quella di una favola.

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