i Viaggi di Ruinetti
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I VIAGGI D'ISTRUZIONE
di franco Ruinettii
Illustrazioni di Enzo Maneglia Man
Non sono gite scolastiche, come a dire soltanto divertimento vacanzaiolo, perdita di tempo, queste uscite sono soprattutto istruttive e, ancor di più, educative. Io ho spesso dato la mia disponibilità per il ruolo di accompagnatore o primo responsabile ben sapendo che di notte avrei dormito poco e i rischi che correvo. Nei molti anni del mio servizio ho svolto questa attività scolastica dalle Alpi alla Puglia, dalla Spagna all'Ungheria. Talvolta gli alunni partecipanti erano così tanti da impegnare tre pullman. I viaggi, per gli iscritti alla scuola media, si limitavano al campo nazionale e la durata era al massimo di tre giorni. Gli alunni non davano grossi problemi anche se spesso qualche maschio si comportava come se fosse rapito dal vento della libertà e della contentezza. Le ragazze dimostravano maggiore equilibrio, procedevano a gruppetti, le amiche si tenevano per mano.
Ricordo diversi episodi carichi di un'ingenuità paradossale. Come quando uno studente mi disse sottovoce:
“La Luana non mi vuole, mi dica come posso fare.”
“Ancora è troppo presto, aspetta tre o quattro anni, vedrai che il tempo sarà tuo alleato.”
Mi guardò serio, poi deragliò senza scomporsi.
“Anche le pollastre invecchiano.”
Un altro studentello, eravamo a Bussolengo in visita allo zoo, mi confidò in gran segreto:
“Le ho dato un bacio, sarà incinta?”
“Sì, risposi, tra una decina di anni.”
Piccoli episodi spesso strampalati che sorprendono anche nel ricordo e recano sempre le luci del sorriso e della tenerezza.
Per alcuni di questi ragazzi era la prima uscita dal paese, la prima volta che si affrancavano dalle briglie dei genitori, i quali li avevano accompagnati alla partenza per affidarli agli insegnanti nascondendo nel silenzio la loro preoccupazione.
Anche le notti erano animate. Fino a tarda ora c'era chiasso sia nelle camere o nei bungalow dei maschi, come nei reparti delle femmine. Poi, quando i ragazzi si accorgevano che il professore di turno non sostava più nei corridoi c'era un fuggi fuggi da una stanza all'altra, sbattere di porte, chiasso, quindi il portiere notturno si lamentava con qualche insegnante e così via fino a quando la stanchezza, verso le prime luci dell'alba, finalmente, calava a tutti le palpebre, sipari del sonno. Al mattino l'appello era verso le sette. Qualcuno, renitente al risveglio, saltava la colazione.
Poi passai ad insegnare nella scuola superiore, all'Alberghiero di Rimini, dove per anni ebbi l'incarico di direttore. I giovani delle ultime classi, essendo già maggiorenni, avevano diritto ad una maggiore libertà e fiducia. Spesso, però, ritardavano agli appuntamenti e facevano stare in pensiero. Una volta, un alunno, a Budapest, mi chiese il permesso di andare a trovare una zia. Glielo accordai. Andò a giocare al casinò, tornò tardi e l'aspettai sulla porta fino a notte fonda. Al ritorno mi chiese di perdonarlo e m'abbracciò. Era stato fortunato, aveva vinto una discreta somma. Offrì a tutti tartine con caviale e vino.
Qualche tempo dopo raccontai l'episodio e quanto ero stato sulle spine al mio vicino di casa, vigile urbano, il quale scosse la testa lentamente e disse:
“Quando rinasco faccio il professore.”
La programmazione scolastica degli Istituti alberghieri prevede oltre alle visite di interesse storico e artistico anche quelle a rinomate strutture ricettive e della ristorazione sia in Italia che all'estero. I libri sono importanti, l'esperienza lo è altrettanto.
A Parigi, previo accordo telefonico, andammo nel famoso ristorante Chez Maxim's. Il direttore ci ospitò accogliendoci a braccia aperte. Era originario di Napoli.
“Sono contento che siate italiani come me. Se eravate napoletani sarebbe stato ancora meglio.”
Ci fece accomodare ai tavoli, chiese a due ragazzi e ad una ragazza di seguirlo. Quando tornarono i tre giovani indossavano la divisa della casa. Mi sembravano belli come il sole. Servirono, con serietà professionale, gli antipasti e l'aperitivo gentilmente offerti.
Quattro volte, per quattro anni consecutivi, accompagnai alcuni alunni ai campi di sterminio, dove mi premeva l'angoscia, sempre più: al peggio non ci si abitua. Uno dei custodi, Pablo, di origine spagnola, quando mi rivedeva, mi abbracciava. Era stato lì internato, a Mauthausen e vi era rimasto anche dopo la liberazione. Lo salutavo con un fiasco di Sangiovese. Spesso rivedo quella biondina. Somigliava a “La ragazza con l'orecchino” di Verneer. Era nella piazzola sopra il muro dei paracadutisti, dove dei prigionieri, quasi scheletri, con quella specie di pigiama a righe, nel mezzo dell'inverno, puniti per avere salito la scala della morte con una pietra giudicata piccola, irrisi, venivano spinti nel precipizio di una settantina di metri per finire a sfracellarsi sugli scogli.
Non riusciva a nascondere i rivoli delle lacrime che le solcavano le guance.
Memorabile anche il viaggio a nord est della Francia. Sostammo a Strasburgo, dove senza prenotazione, non fummo ricevuti al Parlamento. Ma fu interessante l'incontro con un prete che parlava italiano e ci presentò la cattedrale dentro e fuori. Non volle neanche un caffè, disse che quello era un giorno felice per averci conosciuti.
A Reims fui io a spiegare la famosa cattedrale gotica. Mi ero preparato la lezione a puntino.
Poi andammo alle cantine dello Champagne, dove eravamo attesi e fummo ricevuti con cordialità. Ci fece da guida una signora che mescolava l'italiano e il francese come un mazzo di carte. Ci parlò a lungo del vino che è forse il più nobile del mondo. Impressionante la cantina, enorme budello lungo una ventina di chilometri, scavato al tempo dei Romani a 25 metri sottoterra, dove c'è sempre la stessa temperatura.
In uno slargo la presentatrice andò a parlare con un gruppetto di persone e tornò tenendo sottobraccio un uomo sulla trentina, forse più. Quando lo presentò i ragazzi esplosero in un applauso. Era un attore la cui fotografia compariva sui tabelloni di tutto l'occidente, Fu simpatico, ci rivolse un saluto quasi in italiano. Poi tutte le ragazze lo assalirono per l'autografo. Meno una.
“Perché non ci vai?”
“Che ne faccio di un scarabocchio?”
Prima di partire un cantiniere regalò un cestello di sei bottiglie al nostro istituto scolastico. Non arrivò in Italia. Una sera brindammo con lo Champagne.
Una mattina io, altri due accompagnatori e una quarantina di studenti si fece sosta a Innsbruck. Mi sfugge quale fosse la meta finale. S'era nel mezzo della primavera. In un lato della piazza si svolgeva il mercato, in quello opposto sorgeva una chiesa grande con due guglie e davanti al portale, profondamente strombato, stazionava un gruppetto di persone. Ci avvicinammo. C'erano gli sposi che posavano per le ultime fotografie. Mi parevano ancora ragazzi. Indossavano vestiti tirolesi tradizionali dai colori vivaci che il sole esaltava. Li guardavamo ammirati, in rispettoso silenzio. Poi i parenti e gli amici, ad uno ad uno si avvicinarono a loro per abbracciarli e baciarli. Lo stesso fecero gli studenti che animarono la scena intonando o meglio berciando: “Branca Branca Branca – leon leon leon.” Pensai che anche il mio collega accompagnatore provasse il desiderio di mettersi in fila per lo sposo, ma non lo fece. I tempi non erano maturi. Invece lo sentii dire: “I soliti italiani, ci facciamo riconoscere!” Io fui rapito da tanta bellezza, dalla festa, dall'occasione. Mi girai, vidi a portata di mano l'insegnante di ginnastica, luminosa ad alto voltaggio, l'abbracciai e le stampai due baci. Scoppiò un applauso. Quella ci rimase come un baccalà, ma stirò le labbra in un mezzo sorriso.
La verità è che, stando con i giovani, si resta giovani fino alla pensione. Pertanto condivido il desiderio del vigile Claudio mio vicino di casa: quando rinasco faccio il professore.
Franco Ruinetti
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